Genitori e responsabilità

Com’è che questa parola spaventa tanto noi genitori di oggi?

Forse perché ce ne hanno “parlato” troppo presto? O troppo tardi? Le risposte sono ottime entrambe!

Sta di fatto che oggi assistiamo a una generazione di giovani e di adulti che scansano ogni tipo di responsabilità! Da quella di non scusarsi per un ritardo con un amico attribuendo le colpe sempre a qualcuno/qualcosa di esterno, a quella di non accettare che ogni azione comporta delle conseguenze.

Eppure la maggior parte dei problemi dei ragazzi di oggi sono attribuibili a questa nuova generazione di genitori immaturi che hanno sì procreato, ma che hanno rifiutato il proprio ruolo, preferendo spesso quello degli “amiconi”.

Esistono due tipologie di genitori, gli “amiconi” e i “padroni”. Oggi parleremo degli “amiconi”

In questo caso abbiamo un buonismo educativo che diventa il centro di ogni scelta. Si considera il proprio figlio come qualcosa a cui essere devoti a tutti i costi e quindi viene concesso loro qualsiasi cosa affinché essi siano “felici e scoprano i loro talenti ed esprimano sé stessi” perché gli si da la possibilità di fare e avere tutto. Fantastiche parole!

Peccato che questa tendenza del genitore a dire sempre di sì, non tiene conto del pericolo in cui i figli si troveranno presto: nella vita presto o tardi troveranno qualcuno che gli dirà di NO, e loro saranno assolutamente impreparati a gestire la frustrazione perché emozione sconosciuta. Potrebbe essere la prima frustrazione amorosa magari, che potrebbe sfociare, invece che in un sano pianto e qualche giorno di tristezza “teenageriale”, in una vera e propria crisi depressiva o rabbia ingestibile, con conseguenze poco piacevoli come nelle situazioni “limite” che però riempiono i nostri telegiornali.

Questo genitori non si accorgono che i bambini iniziano il loro percorso di conoscenza di sé e delle loro emozioni già subito dopo la nascita: il richiamo del bimbo per i suoi bisogni primari è comunicato alla madre mediante il pianto che non è un divertimento ma l’unica modalità naturale che il bimbo ha per comunicare che ha fame o altro alla madre, ma rappresenta anche il suo primo incontro con la “frustrazione”. Vorremmo quindi toglierlo?

Ecco perché si dice che una madre “sufficientemente” buona, (Winnicott) non perfetta perché non esiste, non dovrebbe correre subito al primo vagito di suo figlio, ma permettere al bimbo di sperimentare, come natura vuole, il senso di disagio e di frustrazione per la fame e far sentire il bisogno di accudimento, che verrà poi soddisfatto e trasformato anche in gioia. Come conoscere la gioia se non passando dalla frustrazione? Il bambino viene al mondo per sperimentare ogni tipo di emozione, non per vivere in un mondo di “plastica” dove tutto è semplice e concesso perché sempre sotto l’ala protettrice dei genitori che in questo modo si sentono “buoni”.

(Ci tengo a precisare che non sto assolutamente incoraggiando l’ “abbandono” del neonato a se stesso e alla sua frustrazione per lunghi momenti: non si lascia un bimbo piangere “perché tanto prima o poi smette” o ancora meno lo si isola in balìa della sua paura ancora per lui ingestibile in autonomia. Tali atteggiamenti creano un innalzamento del livello del cortisolo nel sangue (ormone dello stress) e il pianto in questo caso provoca lo stesso dolore come se fosse stato picchiato. Il bambino deve essere accolto e coccolato per sviluppare invece gli oppioidi che danno sensazione di benessere e poi di sicurezza. Il mio obiettivo è invece quello di ricordare ai genitori che i nostri piccoli nascono con tutti gli strumenti necessari per affrontare la vita in ogni sua fase e il genitore deve imparare a dire i NO, in questo caso, che li aiuteranno a cresce che permetteranno al genitore di costruire un rapporto di fiducia, rispetto, e stima reciproca.)

Tornando ai genitori “amiconi”, essi sono diventati adulti pronti a dire sempre di sì, per cercare di mantenere quel “finto” quieto vivere ed evitare con i propri figli ogni tipo di problema perché di fondo questo gli permetteva di declinare qualsiasi responsabilità verso i figli e verso se stessi in primis.

Le responsabilità che i genitori di oggi vogliono assumersi sembrano solo essere quelle di “assicurare” ai propri figli un’istruzione, un lavoro, un tenore di vita in linea con il mondo consumistico (vedi i-Phone ecc.) e globalizzato che li rende tutti uguali ma almeno facenti parte di un “gruppo”: questo senso di appartenenza sarebbe sano ma è distorto nel suo manifestarsi.

Quante volte sentiamo di genitori che accompagnano i figli di 20 anni a colloqui di lavoro perché considerato una priorità e poi però mancano all’unico evento importante per il figlio perché devono lavorare. Proprio ieri ho assistito in una pasticceria, a genitori che discutevano con il datore di lavoro al posto della propria figlia quasi ventenne. Non che sia vietata la presenza dei genitori, ma dovrebbero essere proprio i figli a voler gestire la propria vita in autonomia. Evidentemente l’autonomia non c’è. Questi ragazzi vivono la vita dei 18enni di 20 anni fa a soli 13 anni uscendo la sera fino alle 24 o addirittura in discoteca fino alle 5 di mattina con i “buoni” genitori che li vanno a portare e riprendere pure! E più genitori permissivi esistono, più i pochi rimasti che rimandano queste attività, diventano i “cattivi” e la minoranza! Fare quel che fanno tutti, l ‘essere parte della massa da l’idea di essere nel giusto e ci fa sentire sicuri perché tutti ci si riconosce uguali:

  • nei gusti alimentari: la moda per il sushi (che ha poco a che vedere con l’antica tradizione giapponese del pesce crudo) o i fast food come MacDonald,
  • nei gusti sessuali: la ragazza deve sembrare sempre più la protagonista di film pornografici e i ragazzi dei narcisisti irraggiungibili spesso violenti, vedi film stile 50 sfumature…
  • nei divertimenti, il tempo libero si spende nei centri commerciali per lo shopping e un museo o una mostra oggi interattive e stimolanti sono ancora considerate una noia)

Ma da dove viene questa paura per le responsabilità? Pare che la si percepisca come un grosso problema, mentre sono il metro con cui si misura la propria crescita. Assumersi la responsabilità delle proprie scelte o azioni, ci espone in prima linea sì, ma anche se nell’errore, troviamo la soddisfazione di avere avuto fiducia in noi stessi con una nostra decisione! La possibilità di scaricare addosso a qualcun’ altro le conseguenze del nostro operato svanisce, anche perché non ci serve più, e ci resta invece la possibilità di costruire la nostra autostima mattone dopo mattone! Quanto è facile infatti prendersela sempre con qualcuno dando la colpa al sistema, agli insegnanti, ai figli (!!),alla ex- moglie ecc. ?

E’ importante avere ben presente la differenza tra colpa e responsabilità:

Spesso discutiamo che qualcuno abbia la colpa di qualcosa o di come stiamo e la confondiamo con responsabilità: se il mio fidanzato mi tradisce e rovina il nostro rapporto certo soffrirò, ma non mi focalizzerò sull’attribuirgli ogni colpa per come sto e avermi rovinato la vita, ma sarà mia responsabilità prendermi cura di me stessa, superare il dolore e costruirmi una vita felice arricchita da questa esperienza che può essere costruttiva proprio perché ogni esperienza ci permette di crescere e trovare relazioni migliori in futuro. Certo nel pratico non fila tutto proprio così liscio, ma credo sia l’unico modo per scegliere di risalire dopo un’esperienza dolorosa. La vita non è assenza di difficoltà, ma è il modo in cui si affrontano che fa la differenza per noi. Da qui viene la “resilienza”, termine che si riferiva alla proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, il contrario della fragilità. In campo psicologico la persona resiliente è quindi colei che affronta le difficoltà e i cambiamenti come una sfida e un’opportunità e non come una minaccia e di fronte alle sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere la fiducia e la speranza.

Se mio figlio incolpa del suo malessere un suo amico perché non è stato invitato alla sua festa di compleanno, avrà tutto il diritto di essere arrabbiato, dispiaciuto, contrariato così come l’amico però, aveva tutto il diritto di non invitarlo, ma sarà responsabilità di mio figlio (con il mio sostegno se è ancora piccolo)  trovare il modo per stare meglio e comprendere magari parlando con l’amico, il motivo della sua scelta.

Errori e colpe non sono sinonimi di responsabilità: quando parliamo di colpa noi vogliamo che gli altri soffrano e paghino perché il nostro dolore ci spaventa più di quello che infliggiamo e quindi lo allontaniamo nella speranza che faccia meno male;  e allora vorremo che “loro” si prendessero la responsabilità per ciò che ci hanno causato, ma questo spetta solo a loro. Quando si tratta della Nostra vita, la Nostra felicità, e soprattutto il Nostro cuore, resta unicamente responsabilità nostra. Finché punteremo il dito e cercheremo un colpevole, noi saremo intrappolati nella modalità della vittima che vive di sofferenza.

Solo assumendosi la responsabilità di se stessi si può essere artefici del proprio futuro e della propria vita.

L’essere adulto si differenzia dall’essere bambino perché sono proprio le responsabilità e la capacità di prendere in mano la propria vita che lo definiscono.

Questi adulti irresponsabili quando sono genitori non si rendono poi conto che il quieto vivere non è altro che un modo di “raccontarsela” per continuare a “mettere la testa sotto la sabbia” e continuare a delegare le responsabilità genitoriali al mondo esterno, o a volte purtroppo ai propri figli (impreparati quanto loro), per poi loro stessi giungere a un punto tale in cui puniscono e sgridano i figli in maniera isterica ed esplosiva (come una pentola a pressione che scoppia), trasmettendo tutta la loro rabbia in una reazione emotiva incontrollata, che spaventerà ogni volta di più perché totalmente ingestibile.

Molti di questi genitori ripropongono lo stesso schema educativo permissivo esattamente come l’hanno ricevuto, ma molti altri invece sono stati  ”castrati” da bambini: gli è stato tolto tutto con la modalità opposta, riempiti di imposizioni, limiti, divieti, restrizioni in ogni senso e ora reagiscono con il permissivismo totale, confondendo però la permissività con la libertà e il loro assenteismo emotivo con il loro essere buoni genitori.             

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